martedì 15 giugno 2010

Estetica della creazione di mondi

Nella narrazione "di genere" la creazione del mondo è importantissima. Dichiarazione un po' banale fin qui, me ne rendo conto. Fidatevi di me e tirate dritto.

C'è molta letteratura sulla creazione dei mondi: in lingua ingelse e in italiano. Di certo vi ci siete imbattuti - io, per conto mio, ne ho digerita parecchio.

Spesso la trattazione è corredata di "questionari", che aiuterebbero l'autore a non tralasciare nulla di ciò che è importante per creare un mondo palpitante e credibile.

Veniamo così guidati a riflettere sulla geografia, sulle vie di comunicazione, su quali siano i rapporti tra le popolazioni e le etnie diverse e persino su quali siano i valori affermati dalle legislazioni o la filosofia di fondo che anima i sistemi scolastici.

Ammetto di essere stato tentato più volte da un approccio del genere, molto sistematico e razionale. Professionale persino.

La creazione di un mondo, perdonatemi la retorica, però è, almeno all'inizio e almeno per me, un impulso estetico.

Mi spiego: a spingermi, ad ispirarmi nella creazione di un'ambientazione è una sorta di scintilla sensoriale. Un misto di immagini, odori, suoni. Qualcosa in cui, almeno nei meandri della mia fantasia, sono immerso o voglio immergermi. Insomma - e scusatemi ancora per l'ultima volta il linguaggio vagamente poetico - prima sono una creatura di quel mondo; solo dopo mi sollevo, lo guardo dall'alto e comincio ad esplorarlo nei suoi confini più vasti e nelle sue dinamiche, che so, sociali o politiche.

Bene quindi tutti i promemoria o gli schemi o la lista delle cose di cui tenere conto quando si crea un mondo. Ma nessuno di questi strumenti sostituirà mai quella scintilla. Quel desiderio di esserci dentro prima ancora che di esserne autore. Quella sorta di rielaborazione originale di esperienze, viaggi, letture, sogni, che il nostro cervello ha cucinato per noi e che, senza che ce ne rendiamo conto, ci accende la voglia di creare e ci suggerisce anche da dove partire.

Dal pensiero all'azione

Siccome qui su LGQ siamo gente pratica, mi sono chiesto quanto sia possibile trasferire questa sensazione di "esserci dentro" agli altri: giocatori di gdr o videogiochi. Come fare in modo che i nostri interlocutori non si sentano alla finestra, quando esplorano il mondo che abbiamo preparato per loro. Che questo non sia uno sfondo delle loro azioni, ma li avvolga completamente.

Ecco alcune riflessioni che ho fatto - ma mi piacerebbe anche sapere cosa ne pensate voi, pochi ma buoni (we, happy few, mi verrebbe da dire), che seguite le evoluzioni de La Grande Quest.

Suggerire e lasciare in sospeso
Se siamo nell'ambito di un gdr, e il mondo che abbiamo creato è in buona parte frutto della rielaborazione delle nostre esperienze e del nostro senso estetico, allora è bene che non ci si faccia troppo prendere la mano dai particolari, almeno all'inizio. Salvate l'ispirazione di fondo, ma lsciate aperte alcune porte all'immaginazione dei vostri giocatori. Poi ascoltateli, osservate come si muovono e accettate, incorporate persino, la loro visione. Voi sarete i giudici finali di ciò che è "canonico", ma non escludete ciò che le esperienze degli altri stanno aggiungendo al mondo.
Lasciate che suggeriscano i piatti disponibili in una locanda, che disegnino la foggia delle armature dei dragonieri, che raccontino a tutti come quel bosco, che voi avete solo suggerito, ricordi loro un bosco che hanno veramente attraversato. Se ci metteranno un po' di se stessi in quel mondo, sarà anche il loro mondo, e avrete raggiunto uno scopo nobile.

Causa ed effetto

Se volete che il mondo sia reale, cioè che non resti solo uno sfondo dipinto, lasciate che i giocatori interagiscano con esso. Che vuol dire che devono avere la possibilità di cambiarlo. Ciò significa saper improvvisare, se stiamo parlando di una sessione di gioco di ruolo, o creare un gameplay (e, in definitiva, del codice) che accetta in modo molto flessibile l'input dei giocatori, se stiamo parlando di videogiochi. Quale che siano i limiti narrativi, il mondo deve produrre un effetto in qualche modo credibile in risposta a un'azione dei giocatori. Lo so, è più facile dove c'è una mente umana che gestisce l'esperienza, ma si possono sperimentare cose molto interessanti anche in ambito videoludico (magari uscendo dai soliti cliché)

Cogliere lo spirito del tempo
Questa è la parte più difficile, ed è anche lo scoglio contro il quale si infrangono le ambizioni di molti autori che vorrebbero passare dalla passione al professionismo. La capacità di catturare gli umori del proprio tempo, le sue ambizioni estetiche, magari anticipando le sue parole chiave, è qualcosa di non comune e che di solito si attribuisce, credo con qualche ragione, a una sensibilità artistica. E però è indispensabile se la creazione del mondo avviene nell'ambito di un media non interattivo (letteratura e cinema soprattutto). Il mondo viene ideato, definito, scritto e rielaborato, magari anche con l'aiuto di collaboratori. Ma una volta dato in pasto al pubblico quello è. O ha colto qualcosa, ha colpito nel segno, ha evocato pensieri e immagini nell'anima del pubblico, o non lo ha fatto. Questo vale anche per la letteratura fantasy e fantascientifica. Mica per niente il fantasy degli anni 30' è diverso dal Signore degli Anelli e Star Wars è un prodotto degli anni '70 (per questo scorcio di inizio millennio vedo invece perfetto Battlestar Galactica...). Mica per niente di solito gli scrittori leggono molto, gli sceneggiatori vedono molti film e chi disegna è avido di reference di altri artisti. Chi crea è immerso nel mondo dei propri pari e del proprio pubblico.

2 commenti:

  1. la "attivazione della soglia di fruizione estetica" è quello che io ho messo, intuitivamente, alla base della progettazione di una situazione esperienziale ... anche se, messa così, mi sa che suona molto criptica ... :-) ...

    Pietro

    ps: ma come si fa ad usare il corsivo nei commenti?

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  2. Criptica, effettivamente :-)
    Ci spieghi un po' meglio Pietro?

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