venerdì 28 settembre 2012

Contro la Gamification


Jesse Schell è un noto game designer. E' stato un imagineer (cioè uno di quei fortunati mortali che progettano le attrazioni nei Parchi Disney), ha scritto un bellissimo libro sul game design, che ho già più volte consigliato, e ora è diventato una specie di guru della cosiddetta "gamification".

Jesse Schell vede un futuro in cui verremo premiati con badge e punti per ogni cosa che faremo. Stiamo aprendo una scatola di cereali della Kellogg's? 100 punti. Stiamo aprendo la centesima scatola di cereali Kellogg's? Mille punti e il badge " gran mogol dell'intestino tenue", da postare su Facebook per vantarci con gli amici (ma di che, esattamente?). Lo stesso per i punti della patente, o per aver fatto il check-in sui mezzi pubblici invece di aver usato l'auto, o per aver fatto la corsetta al parco.

La gamification della vita vera, lasciatemelo dire, è secondo me una colossale vaccata. Non dico che non funzioni e non faccio nemmeno azzardate previsioni sul futuro. Dico solo che a me non piace per niente. 
Non è una questione moralistica  (un esercito di bambocci che non fa le cose giuste perché sono giuste, ma perché riceve la medaglietta), ma estetica. 
Io gioco per evadere. 
Non per passare il tempo, non per farmi un vanto, non per sentirmi "parte di qualcosa", non per sentirmi all'altezza dei miei pari o per essere accettato o tutto questo genere di cose social. Io gioco per scappare da tutte queste cose. Per scappare dal sentirmi all'altezza dei miei pari, dai minuetti della vita vera, dagli orari imposti, dalle responsabilità materiali ed emotive della vita sociale e familiare. Gioco, e invento giochi (saltuariamente), per ricreare la mia personale utopia. Per essere dove non sono stato e dove non potrò mai andare. Per godere della meraviglia di una cosa bella e inutile. E meno è utile (e più è bella) e più mi diverto. Più c'è cura, e amore, e pignoleria e originalità nell'inutilità del gioco, più mi piace.
Trovo che contaminare la meraviglia e la sacralità del gioco con la bruttura della vita vera, il sudore delle corse dietro all'autobus, la pressione delle ambizioni sociali, la banale ripetitività delle scaramucce domestiche, sia un peccato imperdonabile.

Gioco per rimettere a posto il cervello, per guarirlo dai guasti di quello che c'è la fuori. Gioco per ritrovare la connessione tra cause ed effetti, gioco perché ciò che è inutile è bello e ciò che è bello è utile all'anima. Il gioco è il più bel paradosso che ci siamo inventati. Mischiarlo con la vita vera è un atto irresponsabile.

2 commenti:

  1. Bel post! Argomento veramente "scottante", non sono sicuro di arrivare alle tue stesse conclusioni, ma ti ringrazio di aver confiviso queste tue riflessioni con Noi.

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  2. Grazie Andrea. Oggi mi sono svegliato un po' Savonarola :-)

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